Vivere dieci vite diverse
“Avere la possibilità di interagire con persone di ogni ceto sociale e di ogni possibile profilo culturale è una grande ricchezza.”
La mia è una strana storia, un’avventura incredibile che vivo e continua a rinnovarsi da quasi 50 anni.
Tutto inizia nel 1977 quando, all'età di 7 anni, partecipo come pubblico a una trasmissione televisiva di Antenna 3, di fatto la prima TV privata d'Italia. Lì resto folgorato: vedo le telecamere e un gran tripudio di televisori a colori, per me un sogno ancora irraggiungibile. Questo evento insignificante resta lì, sepolto come il fuoco sotto la cenere a lavorare. Solo a distanza di decenni, produrrà risultati inaspettati.
Provengo da una dignitosa famiglia di modeste condizioni economiche. Figlio di immigrati meridionali, per cui la conquista del posto statale dovrebbe essere la massima aspirazione della società. I soldi sono pochi e dall'età di 10 anni aiuto come posso, facendo piccoli lavoretti. Nel pomeriggio aiuto mio padre in carrozzeria oppure do una mano nelle pulizie condominiali e nel portare in strada i tredici sacchi della spazzatura. Il lavoro entra dunque fin da subito nell'orizzonte della mia vita.
Frequento la prima superiore, vado anche bene a scuola, ma a metà anno scoppia una crisi tra i miei genitori ed io, fortemente destabilizzato, vengo bocciato. Come conseguenza, perdo il mio diritto allo studio e mi si prospetta un futuro di umili lavori manuali. Ma non voglio accettare questa situazione, e decido di fare un patto con i miei genitori: di giorno lavorerò e di sera studierò.
Per i successivi cinque anni, lavoro dalle 8.00 alle 17.00, e dalle 18.00 alle 22.30 vado a scuola. Una cosa che a dirla adesso mette i brividi: certo è che queste sono esperienze che ti temprano.
Durante il primo anno di studi il mio lavoro consiste nel consegnare a domicilio il pane: 120 sacchetti da portare a casa delle persone a bordo di un’enorme bicicletta. Per i restanti 4 anni faccio un salto di qualità: vado a lavorare in catena di montaggio, produco asciugacapelli in una piccola ditta, che aveva come cliente la allora importante Termozeta. Il lavoro è semplice, spaventoso e lineare: produrre ogni santo giorno 480 asciugacapelli. A distanza di oltre 30 anni, ancora oggi sarei in grado di assemblare bendato uno di quegli stramaledetti aggeggi. Dopo circa un anno viene apportata una piccola modifica nella procedura di montaggio che porta a un piccolo risparmio di tempo, e tutto d’un tratto il numero di asciugacapelli da produrre al giorno passa da 480 a 512.
La sera a scuola condivido esperienze simili con altri 20 ragazzi. Frequentare le lezioni è un grosso sacrificio: tutti facciamo i salti mortali per essere presenti e quindi, paradossalmente, si verifica un livello di attenzione e una qualità dello studio straordinaria. Anche la relazione con i docenti è diversa rispetto a una normale scuola superiore.
Questo primo affresco della mia vita mi ha fatto conoscere il mondo del proletariato, della catena di montaggio, delle lotte sindacali. Ne ho condiviso l’orizzonte sociale, le aspettative.
Nel 1991, dopo cinque anni, prendo il tanto sospirato diploma di maturità in tecnico delle industrie elettromeccaniche ed elettroniche. In pratica, il mio destino sarebbe quello di fare l'elettricista. E così faccio.
Trovo una ditta gestita da un veneto che accetta di farmi lavorare in nero sui cantieri edili a 5000 Lire all'ora. Inizia un altro periodo pazzesco passato al fianco di muratori, idraulici e geometri. Il lavoro è duro, soprattutto d'inverno. C'è però da dire che sul cantiere l'elettricista è un po' l'élite degli operai: viene trattato con deferenza dai muratori, perché è quello che ha studiato ed è capace di dominare la corrente.
Nel corso di un anno e mezzo da ultimo arrivato divento responsabile di un paio di cantieri con due ragazzi a collaborare con me. Insomma, comincio a fare carriera. Il sevizio militare obbligatorio però incombe. Per me sarebbe una tragedia privarmi dello stipendio.
Scopro però che esiste la possibilità di fare il militare e guadagnare comunque una discreta cifra facendo l'ufficiale di complemento. Mi reco quindi in caserma, faccio domanda e dopo una dura selezione vengo incredibilmente preso.
Il 9 aprile del 1992 parto quindi alla volta di Lecce alla scuola Allievi Ufficiali di Complemento, totalmente ignaro di quello che sta per accadermi. Appena arrivato capisco subito che non mi aspetta certo una passeggiata: 8 ore di lezione al giorno, marce infinite sotto il sole, nessun diritto, privazione del sonno e studio obbligatorio per 4 sere su 7. Le poche libere uscite da farsi rigorosamente in divisa. Infine, non sono previste licenze e per cinque mesi non ho la possibilità di tornare a casa.
La scuola prevede test continui e chi non è idoneo viene espulso. Partiamo in 98 allievi e finiamo in 76. Molti non reggono alla pressione psicologica e fisica e chiedono loro stessi di essere esonerati e di terminare il servizio militare come soldati semplici. Io dal canto mio, dopo la prima fase di esami mi colloco 3° in graduatoria beneficiando di qualche piccolo benefit, ma anche di un ulteriore carico di responsabilità su di un plotone di 20 persone.
Ad ogni modo, a settembre il corso finisce e io divento ufficiale dell'Esercito Italiano con il grado di sottotenente e vengo spedito in Friuli, al comando di destinazione. In quanto carrista comando un plotone di 5 carri armati. Guido il carro armato Leopard, sparo dei proiettili pazzeschi alti un metro che costano come una automobile, andiamo per un mese ad esercitarci in Sardegna.
Insomma, faccio la vita del militare.
Ma quello è il 1992, un anno particolare nella storia d'Italia, quello in cui vennero uccisi i giudici Falcone e Borsellino, il governo istituì l'operazione Vespri Siciliani e i militari vennero mandati in Sicilia a presidiare il territorio.
Dopo pochi mesi mi ritrovo quindi a Caltanissetta davanti al Palazzo di Giustizia, dove si sta svolgendo il maxi processo a Cosa Nostra. Il nostro compito è quello di proteggere in assetto da guerra i magistrati che si stanno occupando del processo.
Il 9 Luglio 1993 termina il mio servizio militare, e io torno in ditta a fare l'elettricista, dove vengo assunto con un buono stipendio. Tutto procede regolarmente per quasi un anno, fino a quando nella cassetta delle lettere trovo una raccomandata verde del comune di Milano. “Sarà sicuramente un Autovelox”, penso io. E invece no: è una lettera d'assunzione immediata come Vigile Urbano, ruolo per il quale avevo fatto il concorso due anni prima.
Dopo un momento di indecisione (in fondo mi piaceva fare l'elettricista) decido di dimettermi e inizio la mia avventura come Agente di Polizia Municipale del Comune di Milano. Tutto inizia con un corso di 3 mesi dal vago, blando e leggero sapore militare. Insieme a me altre 30 persone provenienti da tutta Italia, molti studenti universitari, molti ragazzi provenienti dal sud, disoccupati.
Durante i 7 anni come vigile urbano torna prepotentemente alla luce la vecchia passione per il video, l’infatuazione che mi aveva anche fatto scegliere una scuola serale di elettronica. Con i soldi del militare mi compro una telecamera e inizio a fare i primi lavoretti a tempo perso. Questa attività, dapprima sporadica, diventa sempre più importante. Arrivo al punto che il lavoro di vigile mi va stretto e faccio il grande balzo.
È l’inizio del 2001, e io faccio una cosa da molti ritenuta folle. Vado dal sindaco, mi dimetto e apro una Partita IVA come videomaker. Lascio quindi un lavoro sicuro nella pubblica amministrazione per inseguire un sogno incerto.
Inizio come molti, matrimoni, qualche recita teatrale di paese. Poi arrivano le prime richieste di video aziendali. Nel frattempo, con i soldi della liquidazione, mi compro una telecamera professionale e il primo Mac per fare montaggi video. Pian piano il lavoro ingrana: ad aiutarmi nella contabilità la mia ragazza, Stefania che poi diventerà mia socia, moglie e madre dei nostri due figli.
La svolta vera arriva nel 2007. Ricevo una telefonata dal Sole 24 ORE: serve urgentemente un cameraman per riprendere una sfilata di moda. Un piccolo lavoro, ma importante. Faccio bella figura, mi danno altre sfilate da riprendere, poi interviste, mini documentari, ecc.
Ora, a distanza di 12 anni, ho una squadra Videomaker che gestiscono la produzione video dell’importante giornale, e mi relaziono quotidianamente con importanti giornalisti, imprenditori, politici.
Siamo una realtà strutturata che dà lavoro a molte persone. Nell’ultimo periodo, ho avviato anche un progetto di formazione nel campo del video marketing per aiutare gli imprenditori a prendere piena padronanza dello strumento, e riuscire a comunicare in modo autonomo sui canali social, vero palcoscenico del mondo.
Apriti, esplora la società, non temere o avere preconcetti di fronte a persone apparentemente distanti da te.
Avere la possibilità di interagire con persone di ogni ceto sociale, di ogni possibile profilo culturale è una grande ricchezza, una marcia in più che ti permette di sentirti a tuo agio con chiunque, dall’operaio all’imprenditore. E questo ti aiuterà, e molto, nel condurre la tua impresa.
Placido e' un eccellente videomaker, creativo e dotato di una solida preparazione tecnica. E' anche un'ottima persona ed e'stato un piacere per me incrociarlo ai tempi del Sole 24 Ore e delmio primo blog, che Placido mi ha aiutato a far crescere.
Placido è un grandissimo professionista a 360 gradi, ma a mio personale parere la sua dote più preziosa è la grande umanità che gli permette di instaurare rapporti (di lavoro e non) molto profondi con le persone che entrano in contatto con lui. E' molto onesto sul piano economico e rispettoso dei collaboratori, anche di quelli più giovani e meno esperti, e questo gli fa onore.
Placido Losacco è un professionista di altissimo livello. Puntuale, serio, preciso, meticoloso e ispirato dove serve. Ho collaborato con lui in diverse occasioni. I suoi video sono sempre sintonizzati sulle esigenze del cliente senza perdere di vista l'esigenza di fare un prodotto di qualità e la necessità di ottimizzare ogni fase del lavoro.